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Veronica Hartman

Veronica Hartman sposò Alessandro Tagliolini nel 1960. I due avevano un rapporto molto forte e di grande condivisione. Veronica è restauratrice e oggi vive a Capezzano: custodisce moltissimi ricordi che riguardano Alessandro, le sue ricerche e le sue attività professionali. 

Marta: buongiorno signora Veronica. Come le avevo anticipato, per la mia tesi sto analizzando i progetti di Sciaccamare e di Padula. Quello che le chiedo è di raccontarmi quello che vuole e che si ricorda riguardo a questi due progetti e su di lei e Tagliolini. 

Veronica Hartman: buongiorno Marta. Possiamo cominciare da Sciacca. Qui Alessandro era stato chiamato da un’impresa internazionale per la sistemazione a verde di una zona della parte sud-occidentale della Sicilia, esattamente a Sciaccamare. Lì avevano comprato questi terreni e c’erano le acque termali: c’era quindi il progetto di fare almeno 5 o 6 alberghi. Hanno affidato a mio marito tutta la sistemazione a verde di questa area. Quindi erano circa 80/100 ettari da sistemare, ha fatto questo progetto che si potrebbe definire pilota nel senso dell’architettura di paesaggio. Perché prima di tutto lui cercava di assecondare il clima e tutta la vegetazione autoctona della Sicilia. Ad esempio non si poteva prevedere troppo verde, altrimenti le piante sarebbero bruciate, infatti lui optò spesso per piante grasse tappezzanti. Non era semplice mettere insieme tutto un territorio, perché c’erano problemi sia con le imprese che con il territorio stesso. Ad esempio lui fece un trapianto di 101 alberi di ulivo secolari, nella zona d’ingresso dove aveva fatto un progetto con una fontana, per i quali ebbe qualche conflitto con le imprese locali che pensavano che gli alberi sarebbero morti, ma invece non accadde ma crebbero perfettamente. Fece delle cose veramente splendide, poi ovviamente al giorno d’oggi non è rimasto molto. Sono rimasti gli alberghi, poi l’area intorno è stata tutta cambiata. Lui aveva creato anche dei percorsi particolareggiati, ad esempio con pareti di fichi d’india, facendo moltissime ricerche sul luogo. 

Marta: infatti, guardando le tavole dei progetti conservate nell’archivio a San Quirico d’Orcia, ho notato una grande conoscenza dei luoghi, che dovevano essere stati sicuramente oggetto di precisi studi preliminari. Io in particolare mi sto occupando dello studio che lui fece sul tempo libero. Nella relazione di Sciaccamare c’è un bellissimo schema sulle attività che si sarebbero proposte per il tempo libero, con le relative infrastrutture. In particolare sto analizzando i progetti dei musei (come il museo della civiltà contadina) e delle varie esposizioni che lui aveva pensato di realizzare in questo territorio-parco. C’è stato evidentemente un forte interesse per la cultura materiale e folkloristica siciliana (anche nella relazione si fa riferimento al museo Pitré). Quello che non mi è chiaro però è se di questa parte fosse stato realizzato qualcosa oppure no.

Veronica Hartman: no, infatti lui aveva solo previsto tutta questa parte. Quando furono fatti gli espropri tutte le case contadine furono abbandonate e dentro a queste case mio marito ha trovato tantissimi attrezzi, anche antichi, come un aratro che ho qui in casa io oggi e che donerei volentieri ad un museo della civiltà contadina. Lui voleva unire tutti questi attrezzi e oggetti per fare proprio un museo per valorizzare la civiltà contadina. È molto interessante perché si prevedeva anche di realizzarlo nei bagli abbandonati e farne un’attività turistica. In quel periodo lui aveva realizzato anche il parco delle terme lì a Sciacca. 

Marta: le chiedo anche se lei sa spiegarmi meglio le dinamiche per cui effettivamente non è stato realizzato tutto.

Veronica Hartman: c’erano sia questioni politiche, ma l’impresa era guidata da un’associazione di albergatori veneti. Ci sono stati dei problemi interni e la cosa poi non è stata realizzata. So che ci sono gli alberghi in funzione. Era comunque un progetto bellissimo.

Marta: sì ho visto, consultando il progetto a San Quirico, che c’è stato uno studio molto approfondito sia sul paesaggio che sulla cultura siciliana. Secondo me rappresenta un approccio importante e non scontato a un progetto e soprattutto al luogo dove il progetto si sarebbe dovuto inserire. Sto cercando di comunicare questo con la tesi.

Veronica Hartman: anche perché 80/100 ettari di terreno era tantissimo, non era il giardino di una villa. Lui fece molti studi. Oltre a studiare le piante, il clima, le acque termali e soprattutto la storia e la cultura del luogo. 

Marta: nella relazione del progetto, quando si tratta il museo della civiltà contadina, è presentata una fotografia descritta come esposizione temporanea in una delle case del Sovareto. Quindi venne realizzata una prima esposizione degli oggetti raccolti da suo marito?

Veronica Hartman: esatto. Sì vi fu una prima mostra a Sovareto, con il materiale ricavato dalle case abbandonate. 

Marta: passando a Padula, come si è evoluto il progetto?

Veronica Hartman: a Padula la sovrintendenza di Salerno e Avellino ha chiamato mio marito tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. La vicenda di Padula è molto interessante perché nel secolo scorso la Certosa, modificata già nel Settecento, ha subito una tremenda alluvione che ha coperto con 3/4 metri di terreno sia l’ingresso che la parte oltre la facciata. Il paesaggio era stato completamente modificato. Oltre a ripristinare le singole celle, bisogna considerare anche l’importanza dei giardini di ogni cella, che ogni monaco curava per sé. Ognuno di questi giardini esprimeva infatti una diversa personalità: questo aspetto è molto interessante. L’obiettivo principale del progetto, grazie ai fondi della sovrintendenza, era scavare ed eliminare il terreno alluvionale. Con questi scavi si sono scoperti moltissimi oggetti e anche pezzi di ceramica. È stato fatto anche uno studio molto importante per capire come arrivasse e come venisse convogliata l’acqua all’interno del complesso. Si è compresa anche l’antica presenza del viale che partiva dalla Certosa e arrivava, allungandone l’asse visivo, sino al monumento di San Brunone. Ogni domenica i frati uscivano per percorrere questo viale, facendo una passeggiata fino al monumento. La passeggiata è stata ripristinata. Oltre che a San Quirico oggi i disegni del progetto si trovano anche presso la sovrintendenza di Salerno. Io mi ricordo che allora c’era la dottoressa Vega de Martini che aveva appeso alle pareti i progetti di mio marito perché erano di grande bellezza, acquarellati. Una cosa interessante riguarda il giardino del Priore, che lui ha studiato ed era bellissimo. La cella del Priore conteneva anche la biblioteca, con una meravigliosa scala meravigliosa che porta su al primo piano. Il soffitto della biblioteca che sono 166 metri quadrati di tela l’ho restaurato io, che lavoravo come restauratrice con la sovrintendenza da anni. Ti posso mandare le immagini di questo lavoro del soffitto. 

Padula è stato un lavoro molto bello e molto importante, penso che sarebbe una cosa molto bella da valorizzare.

Marta: anche qui io mi sono concentrata molto sulla ricerca che credo che Tagliolini abbia fatto sulla cultura certosina. Nell’archivio ho trovato infatti molti libri fotocopiati sulla cultura certosina, sulle celle dei monaci e anche sugli arredi. 

Veronica Hartman: sì, aveva fatto una ricerca molto importante anche su questo. Mi ricordo che ho accompagnato mio marito alla certosa di San Brunone in Calabria, dove era nato proprio San Brunone. Io non sono potuta entrare essendo donna, lui ha visto e parlato con i frati e ha preso tantissimi appunti ed è stato molto interessante.

Marta: infatti si vede nei progetti di riarredo delle celle che ogni dettaglio era stato pensato. Ci sono persino i disegni con le misure dei cuscini. Le celle delle quali sono presenti i progetti a San Quirico, ovvero la numero 5, 6 e 11, sono state poi effettivamente realizzate e ripristinate?

Veronica Hartman: sì, le celle sono state restaurate e ripristinate a regola d’arte, come erano in origine, grazie a questi studi che erano stati fatti. Anche nei giardini delle celle sono stati fatti scavi che, oltre ad oggetti, hanno permesso di capire come erano stati sistemati e coltivati gli orti da ogni monaco. È importante perché non è un restauro a se, ma parte da studi che volevano ripristinare a regola d’arte la conformazione dei luoghi. 

Un’altra cosa importante riguarda il tabernacolo nella cappella, entrando a sinistra. Mio marito ha fatto uno studio sul rimontaggio errato di questo tabernacolo che è stato pubblicato su Dialoghi di storia dell’arte”. È interessantissimo perché la prima volta che ha visto questo tabernacolo ha esclamato: “quanto è brutto!”. Ovviamente nella struttura c’era qualcosa che non andava. Allora lui ha cominciato a studiare e ha scoperto che i vari pezzi erano stati smontati durante dei disordini politici e spediti a Napoli. Delle casse che erano partite ne arrivò solo una parte a destinazione e il tabernacolo venne rimontato un po’ così, con quello che c’era. Infatti, le ghirlande vennero messe al contrario, vanno in su e non in giù come avviene di solito. Adesso è sempre uguale, non è stato sistemato. Poi il museo archeologico di Napoli ha ritrovato delle cornici e dei pezzi in bronzo che potevano aver fatto parte della struttura. 

Marta: un’altra cosa importante è che lui aveva capito che lo schema dei giardini della Certosa riprendeva quello della graticola di San Lorenzo. Sicuramente anche questo dimostra che era stato fatto un grande studio dei tracciati e dei giardini.

Veronica Hartman: sì, tutto il parco, secondo mio marito, era stato disegnato come quello della graticola di San Lorenzo. È stato possibile comprenderlo con la rimozione della terra alluvionale. È anche un lavoro di archeologia. 

Marta: si infatti, studiando il progetto, ho fatto un collegamento con quella che è l’archeologia del paesaggio. Se ne parlava in quegli anni, come applicazione del metodo archeologico allo studio delle antiche configurazioni dei paesaggi. Anche gli oggetti, come nell’archeologia classica, vengono considerati fonti che possono andare a contribuire alla comprensione di un luogo, per il semplice fatto che ne rappresentano le vicissitudini. Credo che sia un collegamento perfetto per descrivere il lavoro che è stato fatto a Padula.

Veronica Hartman: certamente. Poi anche la cucina era stata restaurata e utilizzata anche in un set di un film, perché era molto bella. Ho fatto una foto che ti mostro: questo è il cimitero dei frati che ho fotografato durante i lavori. È molto bello e si trova al centro della parte laterale, non è rientrato nel progetto, ma era un’area bellissima. Mio marito aveva consultato anche i libri del Sacco, che io ho qui a casa, dove vi sono antiche raffigurazioni della Certosa, per comprendere come era in origine. È stato un lavoro molto complesso e sicuramente importantissimo sia per la Certosa, che per il progetto stesso.